Anche quest’ anno è andato in scena a Castelnuovo al Volturno il rito dell’Uomo Cervo, o meglio de “Gl’ Cierv”. L’unica piazza del paese, dopo il tramonto, si è gremita di turisti venuti dai paesi limitrofi ma anche da fuori regione, ed è diventata il pittoresco palcoscenico di una pantomima che ha coinvolto molti abitanti, sia come protagonisti sia come figuranti.
La manifestazione carnascialesca ha origine da un tempo immemorabile. È un rito pagano, che segna il passaggio dalla fine dell’inverno e l’inizio della primavera.
Tutto è cominciato da una danza tra il “maone”, lo stregone, le “janare” e le streghe che hanno richiamato il cervo dalla montagna. L’animale è sceso arrabbiato fra la gente del paese con tutta la sua forza distruttrice perché trascurato, creando scompiglio.
L’uomo cervo – coperto di pelli di capra, con volto e mani dipinte di nero, la testa con copricapo di pelle nera, vistose corna di cervo e campanacci legati intorno al corpo – è morto nel male per rinascere buono e tornare tra le sue montagne, buon auspicio di rinascita e di fertilità della natura.
Nel mezzo, l’incontro con la cerva ha placato le sue ire, dando vita ad una danza d’amore che però è naufragata coinvolgendo quest’ultima nella sua collera furibonda. L’arrivo di Martino, figura del bene, ha frenato la rabbia e con l’aiuto del popolo, tra cui pastori e zampognari, i due cervi sono stati legati e, stremati, si sono accasciati a terra.
La popolana, vestita con l’abito tradizionale di Castelnuovo, si è avvicinata a loro offrendo da mangiare: verdura, mais, quello che aveva in casa, ma gli animali hanno rifiutato. Infine, ha donato loro la polenta. Ma l’unico modo per placare il furore del cervo è stato il cacciatore che, grazie al dono del soffio della vita, ha sparato ai due cervi, soffiando loro nelle orecchie, per farli rinascere buoni. La morte e la rinascita. La fine dell’inverno e l’annuncio della primavera.
Prima di andare via i Cervi hanno lanciato il grano addosso alla gente.
Una serata speciale alla quale hanno partecipato anche altre maschere antropologiche e zoomorfe: il Diavolo di Tufara del Molise, i Survakari di Zemen dalla Bulgaria, il Cucibocca dalla Basilicata, la Compagnia degli Zanni del Lazio. Tutte maschere accumunate dal rito e dalla tradizione.