“Si evidenzia per l’ennesima volta lo stato di assoluto abbandono e noncuranza del nostro già precario territorio, da parte delle Istituzioni regionali e nazionali”.
Sono queste alcune delle parole che un uomo di scuola, come il già provveditore agli studi di Campobasso ed oggi dirigente scolastico, Giuseppe Colombo, usa nella lettera inviata a quelli che chiama i Responsabili del Settore Trasporto sia nazionali che regionali, oltre che ai Sindaci dei molti Comuni che sono interessati dalla tratta ferroviaria che va dal capoluogo a Termoli.
La missiva si spiega con la volontà di chiusura che viene dalle Ferrovie Italiane, che considera la tratta un ramo secco, non certo economicamente più appetibile.
Il preside Colombo muove molte critiche alla decisione, fornendo alcune giuste riflessioni, che partono dal fatto che, a suo avviso, l’infrastruttura ferroviaria, nonostante sia stata negli anni abbondantemente frequentata, non è stata salvaguardata né adeguatamente supportata.
Il professor Colombo afferma “sentiamo tutti la mancanza della tratta ferroviaria, che nonostante i lunghi tempi di percorrenza, ha comunque permesso ogni anno ad una nutrita schiera di studenti, cittadini e lavoratori di raggiungere il capoluogo di regione”.
E racconta un po’ delle esperienze pescate nella memoria, momenti, che noi vogliamo interpretare come moti di grande importanza culturale, dove gli spostamenti, seppur nei sacrifici, hanno permesso a tanti di emanciparsi attraverso lo studio ed il lavoro e conquistare un posto negli ambiti della dignità.
Una tratta ferroviaria, aggiungiamo noi, che non è fatta solo di viaggi e collegamenti tra luoghi geografici, ma è scandita dagli incontri, dalla costruzione di tanti futuri ed anche, come scrive il dirigente scolastico, dal “miglioramento del flusso del traffico, perché ha ridotto la congestione, soprattutto a Campobasso nelle ore di punta, e ha permesso altresì di immettere meno sostanze inquinanti nell’aria, ma ha anche concesso, il viaggio in treno, maggior tempo per studiare, interagire, dialogare”.
Nasce da qui la considerazione finale contro una decisione di chiusura che è da respingere totalmente perché anacronistica e antistorica.