Lo sappiamo che rinvangare certi argomenti potrebbe sembrare noioso, ma mai come questa volta necessita. C’era una volta Campobasso la città giardino. Così potrebbe iniziare una bella favola e come finale il classico e vissero tutti felici e contenti; invece, non è così. Prendiamo spunto, per fare qualche considerazione, sulle varie interrogazioni presentate anche in questi giorni, alquanto concitati, dai consiglieri di Palazzo San Giorgio. Interrogazioni aventi un unico obiettivo capire perché Campobasso, un tempo realtà rigogliosa, è stata abbandonata, forse in favore di altre cose che ne hanno fatta una vittima sotto tutti gli aspetti.
Questo è Campobasso un tempo realtà a dimensione d’uomo. Potremo fermarci qui e cedere i commenti a chi guarda attonito le condizioni in cui è stato ridotto il capoluogo della ventesima regione dello stivale. Realtà che presenta troppe distonie quali: strade dissestate, non fruibilità dei passaggi pedonali, mancanza di parcheggi liberi, macchine in doppia se non in terza fila, quartieri nuovi e vecchi non più sicuri che aumentano la confusione e il caos specialmente nelle ore di punta. Questo è Campobasso, anche se quando si arriva in città dalla periferia, il colpo d’occhio permette di spaziare a 360 gradi e l’immagine che si presenta, è quella di una realtà moderna all’avanguardia, in continua espansione e al passo con i tempi.
Cose che svaniscono appena si entra nel cuore urbano in cui il disordine e soprattutto il degrado avvolge, stordisce tanto da desiderare di scappare via il più presto possibile; ecco perché non ci sono parole adatte per descrivere lo sconcerto che si prova. Fanno bene i consiglieri a capire se ci sono colpe e soprattutto di chi sono; anche se sappiano in partenza che non si avranno risposte. Troppe volte ci siamo dovuti scontrare con chi dice di fare il bene della città; ecco perché ci piacerebbe dare la parola, se potesse, a Campobasso stesso.
Un qualcosa che evidenzia come la noncuranza si è impossessata interamente della città che ha assunto l’aspetto di un “clochard”. Uno di quei poveri che s’incontrano agli angoli delle strade in attesa di elemosina che purtroppo sono poca cosa per far ritornare lo splendore di un tempo. Una città che, anche se era unitamente alla Sardegna e altri piccoli centri della Calabria e della Lucania luogo di punizione, bastava viverla così come era perché ti entrava dentro con il garbo di chi sa di non avere nulla da offrire se non se stessa.
Una città che non esiste più se non in rare fotografie ingiallite e relegate in qualche cassettone o appese al muro a impolverarsi pronte a essere mostrare solo in certe occasioni che, purtroppo, visto i risultati alquanto disarmanti, e’ meglio affidare alle nebbie del tempo, con la speranza quello che fu presto torni ad essere reale e non una cosa di cui bisogna vergognarsi.
Massimo Dalla Torre