Ore 1.00 di notte del 4 giugno mentre il popolo degli ambulanti come una colonia di formiche operaie si appresta a smontare le strutture e gli stand, che hanno occupato gli spazi cittadini, moltissima gente, stancamente si avvia a rincasare carichi di pacchi e buste dopo aver preso parte alla sagra dei misteri ed ascoltato i concerti dei kolors sabato e di Nina Zilli domenica.
Città che si è riappropriata del proprio vestito routinario magari guardando con curiosità alla prossima edizione della sagra che quest’anno ha compiuto 300 anni.
Una sagra che, se utilizzando il linguaggio sportivo del baseball, ha segnato nuovamente un “inning” a favore di chi continua a tenerla viva senza doppi scopi o alcun tornaconto personale.
Una festa che annualmente richiama nel capoluogo molisano sempre più curiosi, ma soprattutto amanti delle tradizioni vere e proprie “testomonial” di una cultura nostrana. una festa che, si vuole cervelotizzare a tutti i costi senza sapere che è nata dal popolo e fatta per il popolo.
Una festa che racchiude in se un significato che, nonostante sono passati circa diversi secoli, rimane immutata, anzi si è ingigantita e si è riappropriata a pieno titolo del suo stampo originale.
Un qualcosa che non ha alcun bisogno di spiegazione, perché le spiegazioni le si hanno semplicemente guardando la città nel giorno dedicato alle macchine nate dalla creatività di Paolo Saverio di Zinno, una città che si anima, si vivacizza, si trasforma, si galvanizza.
Una città che diventa multietnica, in cui culture, costumi e profumi distanti migliaia di chilometri l’uno dall’altra s’incontrano, anche se solo per pochi istanti, abbattendo in questo modo un muro che molti vorrebbero erigere, visto l’arrivo al governo di chi è contrario alla presenza sul territorio nazionale e regionale di extracomunitari che fuggono dai loro paesi di origine con la speranza di trovare la tranquillità perduta causa odi razziali, guerre e soprattutto malattie, ma questo e’ un altro discorso.
Questa, è in estrema sintesi, la sagra dei misteri in cui la trama e l’ordito come è stata definita qualche anno fa dal vescovo di Campobasso crea, una fitta rete capace di stringersi pur di salvaguardare un qualcosa di unico, cui difficilmente sapremo rinunciare perché fa parte del dna dei campobassani.