Delusi, mortificati, pieni di amarezza ma anche molto adirati. Sono gli umori che convivono, tutti insieme, negli animi dei lavoratori che una volta erano in produzione in quello che loro,con orgoglio, affermano essere stato “l’unico gioiello del Centro Sud”, lo Zuccherificio del Molise.
Era, questa, una realtà che dava lavoro a tantissime persone, muovendo sostegni economici, insieme all’indotto, per oltre seimila famiglie, una storia sicuramente positiva, in una regione come il Molise.
Ma la politica si è mossa sulle linee di grandi dismissioni, facendo poco e niente per salvare le cose buone, avvalendosi di immense ambiguità, perorando soltanto le cause personali e buttando a mare le vicende che riguardavano, come riguardano, i cittadini del loro territorio.
Cose che hanno un nome, si chiamano infatti ospedali, Gam, Ittierre e numerose altre realtà produttive, piccole, medie o grandi che siano, aziende che davano lavoro, producendo reddito, permettendo di vivere.
Oggi la delusione si accompagna ad uno sconforto totale e fa scrivere loro una sorta di lettera aperta che, idealmente, indirizzano ai presidenti della Regione, gli ultimi due di sicuro, ma anche gli altri, assessori e consiglieri compreso, colpevoli, secondo questi ex lavoratori, di aver fatto di tutto, ma certamente di non aver risolto i problemi concreti di un Molise, bisognoso di lavoro e di sostegno economico per i suoi figli.
Una lettera, questa degli ex lavoratori dello Zuccherificio, che è piena di disagi e di qualche invettiva, perché lamentano un disimpegno delle istituzioni, ma anche tutta una serie di prese in giro, parole date e non mantenute, strade indicate e mai percorse, un mondo fatto di tante piccole e grandi falsità, fatto di sorrisi e di parole spese a tranquillizzare, parole spesso pronunciate con l’unico scopo di evitare fastidi, ripercussioni, critiche e feroci reazioni.
Lamentano l’attenzione delle istituzioni ad autocelebrarsi, a costruire sostegni solo e soltanto per se stesse, premiando gli uomini che hanno sostenuto le loro campagne elettorali, scegliendo nella classe dominante le figure apicali delle strutture di gestione, commissioni, organizzazioni interne, poltrone negli enti e nelle società partecipate.
Tutto costando soldi pubblici, attraverso stipendi pesanti, destinati sempre ad amici, parenti, famigliari degli amici.
Un gioco che sta mortificando l’intero territorio, perché niente sembra portarci verso un qualche risveglio e tutto invece si indirizza in un baratro oscuro, dove ogni progetto va a schiantarsi, ogni speranza di ricollocazione va a morire, dove ogni sogno diventa incubo.