I fenomeni dell’emigrazione, invecchiamento della popolazione, la perdita di aziende produttive e la crisi del lavoro hanno incentivato lo spopolamento del Molise, soprattutto quello delle aree più interne e di alta montagna. I dati riferiti alla popolazione del 1951 segnavano un picco di oltre 406 mila abitanti, scesi nel 2017 a meno di 310 mila residenti. Un calo verticale di quasi 100 mila abitanti in appena 66 anni.
Le scelte politiche dei decenni precedenti hanno favorito l’esodo rurale verso la costa adriatica; un esempio per tutti la nascita dello stabilimento automobilistico della Fiat a Termoli ha forzato questo spostamento verso la città adriatica e il suo hinterland. I flussi dalla montagna al mare sono poi stati favoriti dalla fine della pastorizia, i disagi del mondo agricolo e dal conseguente dissesto franoso del territorio. Uno svuotamento lento ma inesorabile verso il litorale che ha poi privato nel corso degli anni successivi nei paesi di servizi essenziali come la scuola, poste e farmacie, destrutturando l’identità di una vasta area che nella Penisola coinvolge le zone appenniniche.
La viabilità comunale e provinciale fatiscente, risorse finanziarie sempre più esigue e assenza di programmi di rinascita per le aree deboli hanno fatto il resto. Come ripartire? Per alcuni la ripresa può esserci solamente guardando alle vocazioni naturali, turistiche e culturali del territorio compreso tra Frosolone, Agnone e le Mainarde e dalle sue risorse, pensiamo ai formaggi nell’area che gravita attorno a Bojano o al sito del Paleolitico ad Isernia, alle chiese di San Giorgio a Petrella, Faifoli a Montagano e Canneto di Roccavivara. Un sentiero progettuale che chiama in causa anche il rafforzamento della rete delle istituzioni dal basso: unire assieme più comunità con obiettivi a medio e lungo termine in grado di frenare l’esodo delle nuove generazioni.