“Dalle carte emergerà in maniera chiara che non c’è stata distrazione di fondi, né tantomeno arricchimento personale”.
Sono le parole che il professor Alessandro Diddì, del foro di Roma, usa per indicare la strategia difensiva del patron dell’acqua minerale “Santa Croce”, l’imprenditore molisano Camillo Colella, condotto qualche giorno fa in carcere, con l’accusa di bancarotta fraudolenta per il fallimento della Società Immobiliare “Como s.r.l.”.
E’ questo, in vero, un provvedimento per il quale è ancora pendente in Cassazione un ricorso di contestazione della decisione del Tribunale di Roma risalente al 2019.
Una sorta di forzatura, dunque, che ha portato alla restrizione della libertà personale , una persona, che secondo i percorsi difensivi, si è adoperato per il salvataggio della Società Immobiliare e non per il suo affossamento.
L’avvocato sottolinea che il carcere è, in questo caso, “una misura abnorme, sproporzionata” visto che non sussistono né pericoli di fuga, né inquinamento delle prove e reiterazione del reato.
Una situazione che richiede un percorso difensivo attento e nello stesso tempo assai efficace, che dovrà dimostrare, come da parte dell’imprenditore molisano siano state attuate tutte le “finalità protettive e assolutamente non distrattive nella gestione di una Società che era la cassaforte del Gruppo” per permetterle in tutti i modi di rimanere in piedi”.
Intanto, in riferimento al ricorso in Cassazione contro la sentenza di fallimento ancora pendente, l’avvocato sottolinea che “c’è la sensazione che l’arresto sia finalizzato a condizionare il procedimento in Cassazione che noi giudichiamo fondato”.