Prende in prestito il pensiero di Francesco Jovine, Presidente del Consiglio regionale Salvatore Micone, quando vuole sottolineare la natura dei molisani e il loro modo di essere e di agire.
“Il contadino molisano è ordinariamente taciturno; non dice che l’indispensabile; abitante di una terra difficile, aspra, scoscesa, rotta, a pendii rocciosi, a sassaie aride, ha nelle vene l’asprezza della lotta per vivere”
Lo fa per ricordare i sentieri politici e culturali, percorsi nel corso degli anni per affermare l’esigenza dell’autonomia e ribadirla, continuamente, fin dal momento in cui essa è stata realizzata, sul piano legislativo nel 1963 e resa effettiva politicamente e amministrativamente nel 1970 con le prime elezioni regionali, rendendola dunque concretamente possibile, come entità propria, una delle regioni italiane.
L’occasione è la Festa del Molise, un momento che vuole essere di energia collettiva, un punto di pensiero che è sempre di riflessione, tentando di andare ogni volta al di là di una retorica inutile e puramente celebrativa.
Una Festa, quella di domani 27 dicembre 2020, che oggi si celebra in un periodo di enorme difficoltà, nel segno della distanza tra le persone, nei giorni dell’aggregazione negata, nei tempi in cui le criticità sono le più evidenti di sempre.
Un Molise autonomo, diciamo noi, che poteva essere un territorio di buona resa economica e culturale, con ottimi servizi per la società, e che, al contrario, ha mostrato ritardi immensi, nelle sofferenze di quasi tutti, attraverso la carenza dei servizi e delle tutele, nelle lentezze, nei fallimenti e nel veder fuggire i tanti giovani alla ricerca di una realtà lavorativa che è mancata e manca ancora.
Che sia, dunque, una Festa di riflessione, ma che si rifletta bene, soprattutto deve farlo la classe politica, perché il pensiero non sia soltanto uno stucchevole momento di autocompiacimento, ma restituisca al territorio regionale quella dignità spesso e volentieri sottratta e mortificata.